AGOSTO, TEMPO DI FARE IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

Stiamo assistendo ad un calo dell’inflazione e ad una crescita economica sempre più in ripresa, toni più distesi anche dalle banche centrali e la domanda che sorge spontanea è: possibile mai che una delle recessioni più annunciate della storia sia stata definitivamente sventata?

L’inflazione statunitense è scesa al 3% , il suo tasso di crescita del pil si è attestato ben al di sopra del 2%, il fondo monetario internazionale ha aggiornato la propria previsione di crescita del pil a livello globale al 3% per l’anno in corso e il tasso di disoccupazione si è assestato a bassi livelli, la volatilità dei mercati obbligazionari è scesa e al contempo i mercati azionari sono saliti, infine i vertici delle banche centrali di Stati Uniti ed Europa hanno annunciato quelli che potrebbero essere i loro ultimi rialzi dei tassi.

Ma torniamo al nostro quesito: è possibile che una delle recessioni più annunciate degli ultimi anni non si sia materializzata?

Per trovare una risposta a questa domanda non possiamo non considerare l’unicità del contesto in cui ci siamo trovati post covid e al successivo rallentamento economico ad esso legato.

Da una parte dobbiamo considerare la differenza nella crescita economica globale, dall’altra studiare l’intricato contesto di politiche fiscali (gestita dai Governi) e monetarie (gestita dalle Banche Centrali) che si sono avvicendate.

La differenza nella crescita economica è riscontrabile sia tra le economie di paesi differenti, sia all’interno delle stesse economie; possiamo prendere ad esempio la Germania, che si trova in una fase di recessione mentre le altre grandi economie europee vivono la ripresa; ci sono poi gli Stati Uniti che invece stanno superando le aspettative in termini di crescita economica mentre la Cina le sta deludendo.

Gran parte dei paesi sviluppati hanno vissuto un rapido aumento dei tassi di interesse e stanno sperimentando una graduale disinflazione, i paesi emergenti si trovavano in questa fase del ciclo economico già da circa un anno mentre la Cina sta valutando solo ora di varare degli stimoli monetari e fiscale per non incappare in una fase di deflazione.

Per quanto riguarda l’analisi sulle politiche monetari e fiscali, l’opinione pubblica concorda sul fatto che la risposta senza precedenti di natura fiscale alla pandemia abbia alimentato l’inflazione del 2022, riconoscendo inoltre che i suoi effetti sono stati la causa che hanno portato al rallentamento dell’economia nel corso del 2023.

In merito alle politiche monetarie, ricordiamo tutti le forti preoccupazioni dovute ad un rapido rialzo dei tassi d’interesse con cui siamo entrati nel 2023 e che hanno portato al fallimento dei 3 maggiori istituti del settore bancario statunitense, ciò nonostante e fortunatamente le conseguenze sono state contenute.

Il merito dei risultati va obiettivamente dato alle azioni politiche prese, ma il quadro che possiamo osservare evidenzia sempre più chiaramente che le economie basate sui servizi (Stati Uniti, Regno Unito e parte dell’Europa) sono le più resilienti ai rialzi di tassi d’interesse rispetto alle economie basate sulla produzione dei beni (Giappone, Cina e paesi emergenti), difficile invece la situazione in Germania dove l’economia manufatturiera è stata colpita dall’aumento dei tassi.

Concludendo possiamo affermare che dopo l’aumento tassi a cui abbiamo assistito e di conseguenza la più importante inversione della curva dei rendimenti della storia, tutto si risolverà per il meglio…

Tuttavia, ci potrebbero essere rischi potenziali per le tenzioni geopolitiche elevate che ancora intercorrono tra Stati Uniti e Cina e la guerra che tiene ancora il mondo con il fiato sospeso tra Russia e Ucraina che potrebbe portare inevitabilmente ad un’impennata dei costi dei generi alimentari e dell’energia e quindi ad una nuova ondata d’inflazione.

Notiamo comunque un cauto ottimismo anche tra gli economisti della Banca Centrale statunitense che escludono una recessione dalle loro previsioni.

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