La moda è sostenibile?

Siamo in un’epoca in cui anche la moda sembra rispettosa dell’ambiente e della società.

Moda e lusso vantano infatti interlocutori particolarmente sensibili ai temi Esg e il valore del brand è connesso a doppio filo con la percezione dell’adesione della maison ai temi della sostenibilità e circolarità.

Proliferano patti come il Fashion Industry Climate for Action Charter del 2018, certificazioni, premi, iniziative come il Green Carpet Fashion Award di EcoAge;

Nascono anche gli indici di riferimento, come il Business of Fashion Sustainaibility Index che giunto alla sua seconda edizione traccia i progressi delle sostenibilità di trenta delle maggiori società quotate in borsa nel lusso, nella moda e nell’abbigliamento sportivo.

Dai dati aggiornati, il punteggio più elevato quest’anno lo conquista PUMA con 49 punti, segue Kering e Levi Strauss rispettivamente con 47 e 44 punti, ma il punteggio medio delle società del settore rimane comunque molto basso ovvero di soli 28 punti su cento.

Alla prova dei fatti il mondo fashion, almeno per ora, non si dimostra all’altezza delle sfide Esg, principalmente a causa della scarsa qualità di dati trasmessi e della mancanza di investimenti necessari ad un concreto cambio di passo.

Altro indice degno di nota che fa della trasparenza dei dati l’elemento cruciale è il Fashion Transparency Index 2022, fondato proprio sul principio che non c’è sostenibilità senza trasparenza.

L’indice si basa appunto sull’analisi di 246 parametri come per esempio: l’impatto ambientale, i processi della filiera produttiva, lo smaltimento rifiuti, i diritti umani, la parità di genere, le condizioni sul posto di lavoro… ma anche in questo caso il punteggio medio è tutt’altro che entusiasmante: 24 su 100.

Nello specifico solo l’11% delle aziende pubblica i dati sui test dell’acqua di scarto, il 15% i dati relativi ai volumi di produzione e il 24% i dati attinenti all’impatto delle microfibre. Tutto il resto tace.

Ma un progresso c’è stato! Oggi ben 121grandi marchi su 250 pubblica i dati dei proprio fornitori consentendo una migliore tracciabilità (nel 2016 solo 5 marchi pubblicarono questi dati).

L’azienda che può vantare l’appellativo di “più trasparente” è un marchio tricolore, OVS.

Sul podio con lei anche H&M e The North Face, seguono Timberland, Vans, Benetton, Gucci e Calzedonia.

Anche il nuovo Re Carlo III d’Inghilterra, da sempre sostenitore delle Esg, ha lanciato nell’ambito della moda delle Sustainable Markets Initiative, un certificato digitale che traccia i capi di abbigliamento, tra i convolti spiccano i marchi blasonati italiani come Giorgio Armani e Brunello Cucinelli.

Insomma vendite, percezione del brande in ultimo la sua stessa valutazione di Borsa sono legate a doppio filo alla capacità delle maison di comunicare la trasformazione Esg, ma la moda è pronta per essere sostenibile o è solo una moda?

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